Ho letto che | EP. 27 - Incredibilmente stupido
La storia dell'uomo che si finse stupido per fuggire da una prigione comunista durante la guerra in Vietnam..
Ciao,
io sono Giuseppe Bravo e questo è il ventisettesimo episodio di “Ho letto che”.
Mi sono preso un mesetto di “pausa”, in realtà non proprio pausa, ho lavorato un po’ di più e il tempo a disposizione era meno.
Ora che sono tornato alla normale routine, torna anche la newsletter e il podcast, invece, lunedì!
È uscito anche lo SpotifyWrapped e non è stato male per essere il primo anno.
Quindi grazie!
Come al solito qui trovate l’ultimo episodio uscito in podcast:
Cominciamo.
Quando Doug Hegdal si siede davanti agli ufficiali dell’intelligence americana, questi gli domandano cosa sappia dell’Hanoi Hilton, il più grande carcere nord-vietnamita in cui vengono imprigionati i soldati americani catturati durante la guerra in Vietnam.
Gli ufficiali si aspettano che Hegdal racconti dei dettagli, cose che ha visto nei due anni di prigionia, in modo da poter capire dei segreti dell’esercito nemico.
Ma Hegdal comincia a cantare, lasciando di stucco le persone di fronte a lui. La melodia suona familiare: è quella di “Old MacDonald had a farm” (in Italia sarebbe “Nella vecchia fattoria”, per capirci).
Il testo però è diverso da quello conosciuto: Hegdal infatti elenca una serie di nomi e di dettagli che non hanno molto senso decontestualizzati.
Un colonnello quindi lo interrompe “Un attimo, un attimo, rallenti, signor Hedgal”, ma Hedgal risponde “Non posso fermarmi. E’ come andare in bicicletta, cadrei.”
Quei nomi però un senso ce l’hanno, se ne accorgono anche gli ufficiali quando cominciano a trascriverli, perchè sono nome, cognome e dettagli di 256 prigionieri di guerra rinchiusi nella prigione Hanoi Hilton, in cui Douglas Hegdal poteva girare liberamente perchè aveva fatto credere ai vietnamiti di essere l’uomo più stupido del mondo.
Douglas Hegdal viene da Clark, una cittadina del South Dakota, negli Stati Uniti. E’ nato nel 1946 e quando scoppia la guerra del Vietnam ha solo 9 anni.
Dopo essersi diplomato, quando di anni ne ha 20, decide di arruolarsi nella Marina Militare un po’ perchè la madre pensa che molto probabilmente verrebbe chiamato alle armi comunque e allora meglio su una nave che sul campo, un po’ però anche perchè il suo sogno era quello di andare in Australia e proprio in quegli anni gli Stati Uniti decidono di utilizzare la nave USS Canberra per combattere in Vietnam.

La USS Canberra, per la precisione un incrociatore con dei cannoni da 5 e 8 pollici di diametro - circa, rispettivamente, 12 e 20 centimetri - aveva fatto la Seconda Guerra Mondiale e poi fu modernizzata per stare nella flotta di navi che la Marina statunitense tiene attive nell’Oceano Pacifico.
Ma una delle tappe del viaggio della USS Canberra è proprio la città omonima, anche se non c’entra nulla con il nome della nave, che è la capitale dell’Australia.
Così Hegdal fa tutto l’addestramento, viene assegnato all’incrociatore americano e impiegato nella sala delle munizioni per i cannoni da 5 pollici, a poppa.
La notte del 6 Aprile 1967, mentre era di guardia e la USS Canberra stava sparando cannonate verso la costa nord del Vietnam, Hegdal chiude tutti i suoi effetti personali, occhiali inclusi, nell’armadietto e decide di andare a prendere una boccata d’aria fresca sul ponte.
Lo stesso ponte in cui ci sono dei cannoni da 8 pollici che sparano.
Nella Marina statunitense - racconta il Capitano Dick Stratton - c’è un modo di dire secondo cui se sali sul ponte, mentre i cannoni stanno sparando, o cadi in acqua o ti saltano i timpani.
La sorte di Hegdal è la prima: il soldato viene scaraventato dal rinculo di un’esplosione, durante la notte, nel mare della Cina meridionale. Prova ad urlare, a chiamare i suoi compagni, ma le stesse cannonate che l’hanno fatto finire lì impediscono agli altri di sentirlo e così si rassegna al suo destino.
Dal punto in cui si trova si vede un pezzetto di terra - lo stesso verso cui la sua nave stava sparando - ma è lontano e più prova a nuotare in quella direzione più sembra che il punto si allontani.
Decide di utilizzare gli indumenti che indossa come un salvagente e ad un certo punto in preda alla rassegnazione prova a morire anche affogato, spingendo la sua testa sott’acqua con le mani senza successo.
La voglia di vivere era più forte, bisognava capire solo come poter vivere.
Ad un certo punto per via della stessa rassegnazione che lo aveva spinto vicino al suicidio si rilassa: si mette a pancia verso l’alto, galleggiando in acqua, canticchiando delle canzoni e pregando.
Passa così dodici ore, sperando che ad un certo punto i suoi compagni si sarebbero accorti della sua assenza e invece sono i nord-vietnamiti ad accorgersi della sua presenza.
Un peschereccio che proveniva dalla costa nota il giovane soldato americano in acqua, lo preleva e lo consegna all’esercito asiatico che prova ad identificarlo, ma non riuscendoci - Hegdal aveva lasciato tutti i documenti nell’armadietto prima di uscire sul ponte - crede che sia un agente della CIA che si è fatto prelevare di proposito e lo porta alla prigione Hỏa Lò, rinominata scherzosamente Hanoi Hilton.

Sarebbe una teoria sensata, quella dell’agente segreto, se non fosse che Hegdal si propone all’esercito nord-vietnamita per scrivere una dichiarazione anti-guerra e quindi anti-americana. Era la prima volta che a loro capitava di incontrare un soldato nemico del genere, solitamente dovevano torturarli prima che qualcuno si convincesse a prendere la penna in mano.
Hedgal invece è entusiasta e quindi gli ufficiali cominciano a dettargli le parole da scrivere, ma il prigioniero americano chiede lo spelling di ogni singola parola, scritta con una grafia pessima.
Il piano che Hegdal aveva pensato era quello di continuare ad essere ciò che la notte precedente lo aveva fatto finire in acqua: stupido.
Lui dice agli ufficiali asiatici che è un “povero contadino” analfabeta, ma al tempo stesso l’esercito capisce di avere una grande occasione: basterà alfabetizzarlo, insegnargli a scrivere e leggere e diventerà una risorsa importante per la diffusione di comunicati diretti agli Stati Uniti d’America.
Il maestro che gli viene assegnato dopo alcune settimane decide di mollare: non ci sono possibilità che Hegdal impari a leggere e scrivere.
E ora cosa se ne fanno i vietnamiti di un personaggio inutile come Hegdal?
Non ne hanno idea nemmeno loro. All’inizio la soluzione è quella di spostarlo da una cella all’altra, finchè non gli trovano una sistemazione.
Uno di questi giorni, mentre lo stanno interrogando per capire la sua disponibilità a collaborare con i comunisti asiatici, gli chiedono cosa è che vuole di più al mondo.
È una domanda banale: tutti i soldati ovviamente rispondono “tornare a casa dalla mia famiglia”.
Hegdal invece dice “un cuscino”, perchè i prigionieri americani sono costretti a dormire su delle tavole di cemento.
Non ha affatto torto, ma da questo momento i nord-vietnamiti lo prendono per pazzo, qualcuno con delle “rotelle fuori posto”, l’ultimo dei problemi, “The Incredibly Stupid One”, “Quello incredibilmente stupido” : il suo compito sarebbe stato quello di spazzare a terra per le strade della caserma.
Lui esegue gli ordini e lo fa, canticchiando, soprattutto dopo il pranzo, quando a volte di guardia c’è un soldato assonnato e poco attento.
Hegdal aspetta che la guardia si addormenti e poi si dirige verso i carri armati nemici, apre il serbatoio di uno e ci mette un po’ di terra in modo da metterlo fuori uso.
Nella prigione di Hanoi ci sono cinque carri armati e lui riesce a farlo su tutti e cinque.
Il capitano Dick Stratton, suo compagno di prigionia, racconta con stupore di come lui, pur essendo più grande e con più esperienza rispetto ad Hegdal, non sia mai riuscito a mettere fuori uso dei carri armati nemici e di come invece un ventenne che si finge stupido sia riuscito a fare.
Oltre al capitano Stratton, uno dei primi ufficiali americani ad accorgersi del potenziale - e della libertà - di Hegdal in quel contesto è il colonnello, pilota dell’aeronautica, Joseph Crecca, con cui Hegdal condivide la cella per un periodo.
Crecca però non solo non vede Hegdal come uno stupido, ma al contrario ne coglie il potenziale e sa che potrebbe tranquillamente essere uno dei primi prigionieri ad essere liberati dai nemici.
I comunisti infatti di tanto in tanto liberavano alcuni soldati americani per dare credito alla loro propaganda sull’essere pacifisti e clementi anche con i nemici.
Ovviamente liberavano quelli che non presentavano ferite di tortura troppo evidenti, e che erano stati più collaborativi, solitamente in serie da 3.
Crecca sa che non ha molto tempo e si cimenta in quello che anche lui, nel film-documentario “Return with Honor”, definisce “un compito impossibile”, ossia far imparare ad Hegdal i nomi di alcuni prigionieri.
Gli dice che la tecnica migliore è impararli come se fossero una canzone, una facile: “Old MacDonald Has a Farm”.
Hegdal con questo metodo non solo impara i nomi e cognomi di 256 soldati ma addirittura il numero di previdenza sociale e il nome dell’animale domestico di ogni soldato per far sì che venisse creduto.
Ora, c’è da fare una distinzione tra le sigle MIA e POW. Quando un soldato viene dato per disperso prende la sigla di MIA, Missing In Action, che può indicare molteplici scenari: potrebbe essere salvo in un rifugio, ma non riesce a mettersi in contatto con l’esercito, potrebbe essere stato catturato dai nemici, potrebbe essere morto sul campo lontano dai compagni.
Insomma essere MIA rende tutto più difficile sia per l’esercito che deve cercarti sia per i familiari che non sanno cosa sia successo al loro caro.
POW, Prisoner Of War, chiaramente restringe di molto il campo di azione perchè significa che il soldato è vivo, ma rinchiuso in una prigione.
Ecco, il compito che Joseph Crecca aveva pensato per Douglas Hegdal era questo: uscire da lì e rivelare all’esercito chi era detenuto all’interno della prigione.
In realtà Hegdal pensa che sarebbe utile anche descrivere come è la prigione Hanoi Hilton dall’interno, solo che c’è un problema: la notte in cui è caduto in mare dalla USS Canberra lui aveva lasciato anche gli occhiali nell’armadietto.
Insomma, non riesce nè leggere i nomi dei vari blocchi da lontano nè a comunicare con i prigionieri attraverso l’alfabeto manuale per sordi mentre sta spazzando.
Decide quindi di andare dai soldati e dice loro che vorrebbe tanto leggere i comunicati e la propaganda comunista.
I soldati nord-vietnamiti, che continuano a ritenere Hegdal incredibilmente stupido, sono entusiasti della proposta. In fondo agli occhi del mondo avrebbero avuto un soldato americano che dice quanto siano bravi e gentili i comunisti, a differenza degli americani, chissenefrega che abbia qualche rotella fuori posto.
“Però c’è un piccolo problema - dice Hegdal - senza occhiali non riesco a leggere”.
I nord-vietnamiti corrono subito ai ripari e chiamano il commesso di un negozio di occhiali che va da Hegdal e gli prova una serie di occhiali finchè non ne trova un paio con cui riesce a vedere bene anche da lontano.
Bingo.
Tra i prigionieri passati per la prigione Hanoi Hilton ci sono anche Ernest C. Brace e John McCain: uno è stato il prigioniero civile detenuto più a lungo durante la guerra del Vietnam, l’altro un senatore degli Stati Uniti e nel 2008 candidato alla presidenza contro Obama.
Grazie alle loro testimonianze sappiamo che i soldati americani avevano anche un altro metodo di comunicazione - oltre l’alfabeto manuale - durante la guerra.
Quando Brace entrò nella sua cella, sentì dall’altra parte del muro bussare con il ritmo "Shave and a haircut two bits".
Se non sapete cos’è “Shave and a haircut”, pensate ad un modo di bussare a cui qualcuno deve rispondere. Esatto, quello.
Ta-tta-ra-ra-ttà (Shave and a haircut)
Ta-ttà (two bits)
Tra l’altro in tutto il mondo questo ritmo rappresenta un modo di bussare, tranne in Messico dove significa “Fanculo a tua madre”. Ma questa è un’altra storia.
Insomma, attraverso la frequenza con cui bussavano al muro, i prigionieri riuscivano a comunicare grazie ad un alfabeto particolare che avevano creato.
Tornando alla storia di Hegdal, c’è un patto tra i soldati americani: nessuno lascia indietro gli altri e quindi se i nord-vietnamiti propongono a qualcuno di essere liberato, questo rifiuta. Se ne esce tutti insieme e chi invece dovesse accettare, verrà considerato traditore.
Arriva il momento in cui propongono a Hegdal e Stratton di essere liberati.
Prima di ciò, però portano entrambi a fare una visita medica. Entra una soldatessa vestita da medico che, dopo avergli controllato i battiti cardiaci, comincia a palpargli le parti intime chiedendo loro se non avessero voglia, dopo tutto questo tempo, di rivedere la loro moglie o la loro fidanzata.
Solo in quel momento gli domandano se fossero disposti ad essere liberati e ad alimentare così, come dicevamo sopra, la propaganda pacifista dei comunisti asiatici.
Entrambi rifiutano, ma Stratton e gli altri prigionieri americani dicono ad Hegdal che è utile che lui torni a casa - conosce a memoria i nomi dei prigionieri, la disposizione delle celle e l’organizzazione della principale prigione nord-vietnamita - e che non verrà considerato un tradimento in questo caso.
Hegdal si convince e viene liberato il 4 Agosto 1969.

Viene inviato anche a Parigi, dove Stati Uniti e Vietnam stanno trattando per un accordo di pace: la testimonianza di Hegdal serve a raccontare le torture subite dai soldati americani per mano di quelli nord-vietnamiti e a migliorare la loro condizione nell’attesa che vengano firmati gli accordi - accadrà nel 1973.
Una volta tornato dalla sua famiglia, Hegdal diventa istruttore alla Survival, Evasion, Resistance and Escape (SERE), una scuola a San Diego in cui si insegna ai militari come comportarsi in caso di cattura e eventualmente a come evadere da una prigione.
A volte basta fingersi stupidi.
Alla prossima,
Giuseppe