Ho letto che | EP.10 - 40 acri e un mulo (con Francesco Costa)
Tra le nomination agli Oscar c'è un documentario del New Yorker su un barbiere che prova a risolvere il problema del razzismo sistemico in Arkansas.
Ciao, io sono Giuseppe Bravo e questo è l’episodio numero dieci di “Ho letto che”.
La storia che leggerai tra poco, oltre ad essere incredibilmente interessante per capire un pezzo di Stati Uniti del passato e del presente, è anche al centro di un documentario del New Yorker candidato agli Oscar nella categoria “Miglior documentario cortometraggio”.
La premiazione si svolgerà nella notte tra il 10 e l’11 Marzo, verrà trasmessa in diretta su Rai1 e magari questa newsletter ti aiuterà ad arrivare preparato in quel momento in cui solitamente guardi l’orologio e pensi “Madonna, ancora ai cortometraggi siamo”.
Aggiungo - e chiudo - che finalmente posso confermare ciò che accennavo due settimane fa: ogni episodio avrà una sua versione podcast! Uscirà qualche giorno dopo la newsletter e si potrà ascoltare sulle piattaforme di podcast.
Ti manderò un piccolo reminder quando uscirà il primo episodio.
Introduzione finita,
Cominciamo.
Nel Gennaio del 1865, dopo l’Emancipation Proclamation con cui il presidente degli Stati Uniti d’America Lincoln libera gli schiavi alla fine della guerra di secessione, il generale William T. Sherman promette come ricompensa ad ogni schiavo liberato 40 acri - ossia 16 ettari - di proprietà terriera e un mulo per lo sforzo nell’aratura. La terra viene tolta agli Stati Confederati d’America, che lottavano per separarsi dal resto degli Stati Uniti e tenere in vita la pratica della schiavitù e che erano usciti sconfitti dalla guerra.
Questo avrebbe permesso agli afroamericani di costruire una loro ricchezza.
Ma il 15 Aprile dello stesso anno Lincoln viene assassinato e Andrew Johnson, il suo successore e simpatizzante degli Stati Confederati, revoca la promessa e restituisce le terre ai vecchi proprietari.
Settant’anni dopo, alla Home Owners' Loan Corporation - una società che si occupa del rifinanziamento dei mutui immobiliari - viene commissionata la suddivisione di 239 città americane in zone in cui è più o meno consigliabile fare un investimento, al fine di per prevenirne il pignoramento. Tale suddivisione serve alle banche per capire a chi fare o non fare prestiti.
La mappa di ogni città viene divisa in 4 categorie:
A, le aree più nuove, ricche e quindi consigliate, delineate in verde;
B, le aree “ancora desiderabili”, delineate in blu;
C, le aree vecchie, in declino, delineate in giallo;
D, le aree sconsigliate e a rischio per i prestiti, delineate in rosso;
Quelle appartenenti alla categoria D sono però anche le aree in cui si trova la maggior parte dei residenti afroamericani sul territorio di ogni città, che vengono esclusi da ogni tipo di investimento immobiliare: questo processo prende il nome di redlining.
Un’assenza di investimenti ovviamente porta ad un minore sviluppo delle infrastrutture sul territorio e di conseguenza ad una differenza sempre più evidente tra le zone ricche, The Heights, e i sobborghi, Suburbs.
In numerose città la disparità tra i due quartieri viene sottolineata anche dalle infrastrutture, come le autostrade, che dividono le aree ricche da quelle afroamericane e quindi quelle povere.
È il caso della I-630: un’autostrada che divide a metà la città di Little Rock, capitale dell’Arkansas, nel sud degli Stati Uniti e quindi parte del gruppo dei secessionisti.
Gli Heights di Little Rock contano circa 8.000 persone, numerose villette in stile americano e 14 banche. Nei Suburbs invece vivono circa 30.000 persone in case piuttosto malandate e non ci sono banche o nulla che possa permettere di prelevare del denaro.
Fino al 2014, quando apre la People Trust CFU, la prima banca presente all’interno della zona della comunità nera non solo di Little Rock, ma dell’intero Stato dell’Arkansas.
E questo grazie ad un barbiere.
Arlo Washington nasce nel 1978 a Little Rock. Quando partorisce, sua madre Joyce Marshall ha solo 16 anni e si ritrova costretta a lasciare la scuola. Esattamente come la madre - la nonna di Arlo -, Joyce decide di mettere la sua vita a disposizione della comunità afroamericana della cittadina.
Malgrado ciò e malgrado debba badare anche ad altre due figlie, partorite in quegli anni, all’età di 31 anni la madre di Arlo Washington riesce a laurearsi in Servizio Sociale con la finalità di aiutare le famiglie in difficoltà a trovare una casa.
Due settimane prima che Arlo si diplomi però sua madre muore per un tumore e lascia a lui un forte senso di responsabilità sia nei confronti delle sorelle che nei confronti delle persone afroamericane a Little Rock.
Washington impara il mestiere di barbiere, viene assunto in un barbershop e comincia a fare pratica finchè non si fa le ossa e decide a 20 anni che è il momento di mettersi in proprio e creare il suo business.
"Impara il mestiere, fatti il tuo nome e solo a quel punto apri il tuo barber shop. Nel momento in cui venivano 100 persone da me ogni settimana, solo lì ho deciso di aprire il mio barber shop. Per ora che siete a scuola, siate pazienti, fate pratica anche quando uscite e andate a casa, se avete cugini o vicini. Tagliate, tagliate, tagliate, perchè molti più capelli tagliate, molto più bravi diventate."
Un giorno si presenta nel negozio un cliente abituale, uno di quelli che porta anche la famiglia, gli amici a fare i capelli lì e gli comunica che ha perso il lavoro, ha finito tutti i risparmi e a breve dovrebbe cominciarne uno nuovo, ma nel frattempo avrebbe bisogno di 150$.
Aggiunge: “Te li restituisco tra 30 giorni”.
Washington quei soldi li presta tranquillamente, sapendo che molto probabilmente non li avrebbe mai riavuti indietro.
Il trentesimo giorno invece il cliente torna, restituisce i soldi e chiede un altro prestito, una cifra simile, ripagato anche quello nei tempi concordati.
Arlo Washington comincia a comprendere la dinamica che ha portato il suo cliente a chiedergli quei piccoli prestiti: nessuna banca gli avrebbe prestato dei soldi, perchè nero.
L’alternativa sarebbe stata chiederli ad un usuraio, pagando degli interessi altissimi e rischiando grosso qualora non li avesse restituiti in tempo.
Questo tipo di discriminazione è una delle forme in cui si manifesta il razzismo sistemico, espressione con cui si intende la differenza di trattamento da parte della società o delle istituzioni a seconda dell’etnia. In America quando il razzismo sistemico si presenta in ambito economico, prende il nome di Banking while Black.
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La possibilità di non ricevere prestiti da una banca è solo uno dei tanti modi in cui si manifesta il razzismo sistemico. Questo fenomeno infatti è un problema anche nella ricerca di un lavoro, che a sua volta si tramuta in aumento del tasso di criminalità e ancora meno possibilità di reinserimento nella società dopo il periodo in prigione.
Washington capisce quindi che per risolvere il problema non può agire solo a valle, ossia risolvere il problema della mancanza di denaro, ma deve provare a aiutare la comunità anche a monte, creando opportunità di lavoro.
“Non puoi sviluppare una comunità, se non sviluppi le persone.”
Nel 2008 da un lato apre il Washington Barber College, una scuola di taglio per aspiranti parrucchiere e barbieri, che non si basa sul colore della pelle degli studenti e da cui sono usciti più di 1.500 professionisti, dall’altro invece fonda la People Trust, un fondo di prestito senza scopo di lucro.
L’obiettivo della People Trust, come dice appunto il nome, è quello di far ritrovare alle persone la fiducia in un sistema che non è stato creato per loro, offrendo prestiti per emergenze mediche, improvvisi licenziamenti, aiuti per l’affitto e anche sostegno a persone che vogliono aprire la loro attività commerciale.
A differenza dei singoli imprenditori, la People Trust è una banca certificata CDFI (Community Development Financial Institutions), un istituto finanziario creato nel 1994 da Bill Clinton, non a caso il primo presidente degli Stati Uniti ad essere nato in Arkansas. Questa certificazione fa da garante nel momento in cui la People Trust riceve i soldi per i prestiti dalla Federal Reserve (la Banca centrale) o da altre grandi banche e fondazioni.
A dimostrazione di ciò, i dati ci dicono che l’80% dei clienti di una banca CDFI sono a basso reddito, il 60% sono di colore, il 50% donne e il 28% vivono in aree rurali.
Inoltre tra i servizi offerti dalla People Trust c’è anche l’assistenza finanziaria per le attività e l’educazione dei più giovani ad una consapevole amministrazione del denaro.
La Bill Clinton Foundation è stata uno dei promotori del documentario realizzato dal New Yorker, “The Barber of Little Rock”, che ha portato alla luce la storia di Arlo Washington e del suo lavoro nella comunità afroamericana di Little Rock.
Nel documentario, diretto e prodotto da John Hoffman (nessuna parentela con Robert, ma che coincidenza!) e Christine Turner, si vedono diverse persone parlare con Washington privatamente, raccontargli la loro storia e la difficoltà in cui si trovano in quel momento.
Tra gli intervistati, la storia che fa capire meglio il senso degli sforzi di Washington è quella di Lyncola Franklin, una parrucchiera amatoriale che lavora nelle singole case con una clientela ristretta e che vorrebbe aprire un suo salone di parrucchieri.
La signora Franklin all’inizio frequenta il Washington Barber College, prendendo la licenza da acconciatrice e in seguito si accorda con Washington per un prestito per il finanziamento dell’attività, compresi i soldi delle bollette e l’affitto del locale.
La People Trust ad oggi ha una media di prestiti di 5000$ per le comunità e 1000$ per gli individui.
Il 95% delle persone ripagano i loro prestiti nei tempi prestabiliti.
Il fatto che questo accada in Arkansas - che tra l’altro non si pronuncia com’è scritto, ma Arkansaw - però non è un caso: se è vero che gli Stati Uniti d’America hanno complessivamente un problema generale di razzismo, che affonda le radici nella schiavitù, questo Stato e la sua capitale in particolare si portano dietro una lunga tradizione di eventi storici legati alla discriminazione e alle violenze sulle persone di colore.
L’Arkansas infatti, come tutti gli Stati del sud degli Stati Uniti, all’inizio dell’Ottocento vide la nascita e la diffusione di un’organizzazione di suprematisti bianchi che si ribellava ai diritti concessi alle persone afroamericane: il Ku Klux Klan.
Little Rock nel 1923 vide la creazione del Women’s Ku Klux Klan, la divisione femminile del movimento, che a distanza di un anno arrivò a contare più di un milione di militanti.
Tutt’ora, secondo il Southern Poverty Law Center, in Arkansas sono attivi diversi gruppi del KKK, anche se le loro azioni sono in netto declino da qualche anno a questa parte.
Ma Little Rock diventò celebre nel 1957 quando a sei ragazze e tre ragazzi afroamericani fu permesso di iscriversi alla Little Rock Central High School, il liceo pubblico della città, a seguito della sentenza della Corte Suprema del 1954, che prendeva il nome di Brown v. Board of Education e che dichiarava incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche.
Fino a quel momento infatti i bianchi e i neri frequentavano scuole diverse, anche se non esisteva un vero divieto nel creare classi miste: “separate but equal” - separati, ma uguali - come diceva la precedente sentenza della Corte Suprema, la Plessy v. Ferguson.
Quella che nasceva come un’azione per far integrare la comunità nera con quella bianca, però, almeno all’inizio, finì per danneggiarla: se fino al 1954 infatti la discrimazione nei confronti dei neri era consentita, non poteva essere una sentenza a cambiare una cultura radicata da anni all’interno della società.
Il primo giorno di scuola, il 4 Settembre 1957, mentre i nove ragazzi selezionati stavano per mettere piede nell’istituto, intervennero le truppe dell’Arkansas National Guard, che agivano per conto del governatore dello stato, ad impedirgli l’accesso.
Tutto questo avvenne in un contesto di urla, insulti e minacce da parte degli studenti bianchi della stessa scuola. Il presidente Eisenhower commissiariò l’Arkansas National Guard, riuscendo a far ammettere gli studenti alla struttura, ma nuovamente non poteva essere una legge, una sentenza e nemmeno una decisione del Presidente degli Stati Uniti a far cambiare dei meccanismi culturali consolidati da anni nella società americana, a maggior ragione nella società degli Stati del sud.
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Gli studenti infatti, seppur ammessi alle lezioni, continuarono a subire violenze e bullismo tra i corridoi del liceo fino alla decisione del governatore di sospendere le lezioni e tenere chiuse tutte le scuole fino all’anno successivo.
Si è tornato a parlare di razzismo e di Arkansas nel 2021 quando lo youtuber Rob Bliss è andato nella città di Harrison, famosa per avere la nomina di “città più razzista degli Stati Uniti d’America” ed è rimasto immobile tenendo in mano un cartello con la scritta “Black Lives Matter”. L’accoglienza non è stata delle migliori, ma c’è anche chi ha apprezzato e chi ha preso ispirazione.
Tuttavia la situazione è migliorata con il passare degli anni, pur restando l’Arkansas uno Stato prevalentemente repubblicano. L’unica eccezione furono il 1992 e il 1996, quando le elezioni generali furono vinte dal democratico Bill Clinton, che - come abbiamo visto sopra - era nato proprio in Arkansas.
Per sapere se e come è cambiato l’Arkansas ho chiesto a Francesco Costa, vicedirettore del Post ed esperto di Stati Uniti, di cui parla sia nella newsletter Da Costa a Costa che in diversi libri, l’ultimo dei quali, Frontiera, esce il 5 Marzo:
“L’Arkansas è una storia interessante nel contesto delle trasformazioni urbane, economiche e sociali che stanno attraversando gli Stati Uniti in questi anni e che vedono un grande ritorno o anzi una grande esplosione economica demografica nel sud del Paese, nella regione che un tempo era la più arretrata, quella basata soprattutto sull'agricoltura e sulla schiavitù.
L’Arkansas sta venendo toccato da queste trasformazioni: la sua popolazione cresce, l'economia cresce molto, è uno stato che ha i conti in ordine. Per molti versi è una storia interessante di successo, ma non è una storia da copertina come lo è, appunto, il Texas.
Gli manca soprattutto per diventarlo - ed è la ragione per cui i cambiamenti si vedono anche in Arkansas, ma in un modo un po' diluito - una grande città che faccia da centro propulsore.
La città più popolosa dell'Arkansas è Little Rock che ha meno di 200 mila abitanti. Insomma senza un grande centro urbano, i cambiamenti arrivano, ma ne arriva soprattutto l'eco. Qualche effetto si vede,in Arkansas le cose vanno bene, vanno sempre meglio, ma non è un posto in cui almeno secondo me si assiste a un cambiamento tumultuoso del panorama.”
Oggi negli Stati Uniti le persone bianche proprietarie di casa hanno sette volte la ricchezza dei neri e questa differenza continua ad aumentare.
La missione di Arlo Washington è un filo che lega il Banking While Black alla promessa dei 40 acri e un mulo di Sherman.
E, come dice lo stesso Washington alla fine del documentario, “è appena cominciata”.
Dessert.
Lo spazio dedicato alle cose interessanti viste o lette durante le settimane stavolta è occupato da gli altri documentari cortometraggi candidati agli Oscar insieme a “The Barber of Little Rock”, non tutti disponibili online per adesso:
Nǎi Nai & Wài Pó - SuperNonne, una dedica del regista Sean Wang alle sue nonne, che si sono conosciute grazie ai suoi genitori e adesso sono come sorelle.
L'ABC della censura letteraria, in cui la centenaria Grace Linn si oppone al bando dei libri su tematiche LGBTQ+, razziali e sulle guerra dalle scuole della Florida.
Island in Between, la storia dell’arcipelago di Kinman, appartenente a Taiwan, ma che si trova a 10km dalla Cina. E i due paesi non hanno ottimi rapporti.
The Last Repair Shop punta una luce sull’unico magazzino a Los Angeles in cui vengono riparati e mantenuti circa 80.000 strumenti musicali scolastici e che tiene vivo il sogno di molti studenti di diventare musicisti.
Menzione speciale per “20 Days in Mariupol”, candidato invece nella categoria “Miglior documentario”. Ringrazio il mio collega Claudio per avere insistito perchè lo vedessi: è forse il documentario più crudo che abbia mai visto, ma al tempo stesso è la testimonianza più realistica di quello che è successo e succede sia lì che in tutti gli altri posti in cui c’è una guerra.
Noi ci sentiamo tra due settimane, anzi ci leggiamo tra due settimane, perchè ci sentiremo a breve con il podcast. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
Alla prossima,
Giuseppe
Daje de podcast